Servizio Social Forum

Ma come si possono raccontare… 7, 8 anni di silenzio? O di più?

Me lo ha chiesto Lorenzo dopo che ci siamo ritrovati grazie ad outlook, perché ripulendo la casella mi son ritrovato delle mail scambiate con lui ai tempi in cui avevamo i nostri blog su msn. Ci siamo ricontattati attraverso il social forum che ci fa mantenere le amicizie e ci aiuta a recuperare quelle che abbiamo perso lungo la strada. A questa sua domanda, gli ho risposto che non ci dobbiamo raccontare niente, a me basta poterlo salutare, sapere che ha fatto buone cose e che ha il sorriso sul volto.

Ma si possono raccontare 7, 8 anni di silenzio? O di meno?

Non me lo ha chiesto Marco dopo che ho trovato il suo profilo su whats-app e gli ho scritto un messaggio, da lì è partita una serie di altri messaggi per poi approdare a una telefonata in cui per quasi un’ora (incredibile per me) ci siamo raccontati gioie e dolori di entrambi. Ci conosciamo da quasi trent’anni, ci siamo sentiti pochissimo ultimamente e visti ancora di meno. Ma la simpatia e l’affetto reciproco sono rimasti immutati.

Ma si possono raccontare 7, 8 anni di silenzio? O molto, molto di meno?

Me lo avrebbe potuto chiedere Alessandro, dopo che con una telefonata ha interrotto un silenzio di qualche mese in cui varie vicissitudini gli hanno impedito di manifestarmi a viva voce l’amicizia che ci lega. Ma io sapevo che c’era, sapevo pure che attraversava un periodo difficile e grazie a facebook sentivo la sua presenza e gli offrivo la possibilità di seguire qualcosa di me anzi qualcuno che da poco è con me. E i suoi “mi piace” immancabili mi davano sempre serenità e compiacimento.

Ho tre amici sparsi per l’Italia e li sento vicini, grazie ai “Servizi Social Forum”.

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Le mani e i colori

La fantasia non ha confini e non ha un colore perché i colori li ha tutti.
Deve aver pensato questo Thanh quando gli è stato chiesto di lasciare l’impronta della sua mano su un grande murale allestito da Emergency presso Città della Scienza in occasione della manifestazione Lilliput. Mentre tutti i bambini hanno diligentemente intinto il palmo della mano nella vernice gialla o verde o rossa o blu, lui ha messo la mano in tutti i colori e poco dopo la sua impronta era lì, distinta da tutte le altre.

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Una vita fa

Sembra un’altra vita la vita trascorsa senza Thanh, così lontana nel tempo e nella memoria che quasi non si riesce a capire come sia stata. Adesso che la casa è un’altra ma soprattutta è piena delle sue cose, dei suoi giocattoli, delle sue caramelle, dei suoi disegni, così che in ogni parte qualcosa ci dice che lui c’è. Solo poco più di un anno fa eravamo in due, in una casa che non sarebbe stata idonea ad accoglierlo ma che ci ha visto felici anche se in un’attesa che sembrava infinita. Dicono che i bambini non devono diventare il centro della vita dei genitori, hanno ragione, perché non sono il centro, sono tutta la vita. Sarà che è un nuovo status il nostro, sarà che è in ogni caso del tutto peculiare la situazione ma la nostra vita adesso è cambiata, adattata, con molto piacere, all’esigenza del momento, costruire il nuovo percorso di Thanh. Renderlo capace di affrontare il mondo, portandosi dietro tutto il suo bagaglio di vita e cercando di recuperare quello che gli è mancato finora.
Della vita precedente non rimpiango niente, quella che qualcuno definisce libertà è forse una fuga dal vuoto. Adesso non si finisce mai, da fare ce n’è, quanto lavoro per il cuore (tx Renato).

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Parentele

Non è certo facile spiegare le parentele così di punto in bianco. Soprattutto in presenza di equivoci lessicali per cui quando appena dopo l’elezione è comparso in tv papa Francesco abbiamo esclamato: ecco il nuovo papa! e subito Thanh: nooo, papa nuovo no! temendo che il suo papa stesse per essere rimpiazzato. Ci si mette poi il nostro presidente della repubblica che ha una vaga somiglianza con mio padre per cui ogni volta che compare in tv Thanh si meraviglia che il nonno sia lì dentro.

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Musica nuova in auto

Torna immancabile il post di aggiornamento sulla musica in auto.
In questo periodo nessuna scelta dettata da gusti personali ma solo canzoncine dello zecchino, sigle di cartoni e vecchi programmi tv, e musiche allegre per ballare.
Adesso vanno forte il Johnny bassotto poliziotto e “La tartaruga” o superclassici come “Pippi calzelunghe” .
Inutile dire che vanno anche quando sono da solo.

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Le sue parole

I bambini sono delle spugne. Questa frase me la sento dire spesso quando racconto dei progressi di Thanh con la lingua italiana. Siamo partiti con la sua prima parola “luna” che esclamava ogni sera quando tornavamo in albergo ad Hanoi, urlata quasi, con dentro tutto lo stupore e l’entusiasmo di chi sta scoprendo il mondo. Poi ogni giorno sempre nuove parole hanno arricchito il suo vocabolario consentendogli di tener fede alla fama di chiacchierone che ha preceduto il suo arrivo. E quindi in queste settimane l’italiano poco alla volta sta diventando la sua lingua, al punto che giorni fa, non visto, l’ho sentito parlare da solo mentra stava giocando e le sue parole erano tutte in italiano.

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Thanh e le favole

Mi ero preparato. Avrei letto le favole ma soprattutto avrei inventato storie fantasiose, aggiungendo personaggi e dialoghi inventati. Ma come tutti i bambini, anche Thanh vuole che si legga precisamente quanto è scritto, attenendosi fedelmente al testo, senza divagazioni. Tant’è che l’altra sera ha preso il libro e ha deciso che sarebbe stato lui a leggermi una favola (senza saper leggere ovviamente). Inutile dire che dopo pochi minuti ero già addormentato.

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Thanh e il calcio

Per misurare ciò che ha provocato Thanh nelle incrollabili (finora) convinzioni di una vita bastava guardarmi oggi pomeriggio a tirar calci a un pallone.
Io che speravo di rifilare questa educazione sportiva all’accanita tifoseria familiare mi sono ritrovato a rivedere la mia ostinata avversione e improvvisarmi calciatore….

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Un eroe dei nostri giorni

Questo bambino è un eroe dei nostri giorni. Così l’ha definito un mio amico, genitore di due bambini nati in Russia a cui per primi aveva destinato questa definizione.

Un eroe perché un giorno son venuti due sconosciuti e l’hanno portato via da quello che era il suo mondo, forse non il migliore dei mondi possibili ma l’unico da lui conosciuto. E’ andato via da lì senza portare nulla, perché nulla aveva, nemmeno il senso della proprietà. Ha dovuto fare uno sforzo enorme per comprendere una lingua sconosciuta e farsi capire, affidarsi a loro per i bisogni primari. Ha dovuto dimenticare i sapori e scoprirne di altri, adattarsi a nuovi odori, a nuove abitudini, a regole diverse. Quella che era una giornata scandita dall’alternanza luce/buio s’è spostata in avanti, scandita da sveglie e appuntamenti, nuovi orari per mangiare, per uscire, per giocare.

Un eroe fa tutte queste cose, sempre con il sorriso sulle labbra, con un entusiasmo e una simpatia incontenibili, ma anche gli eroi hanno i momenti di nostalgia. Ce ne accorgiamo quando, seppure accecati dalla frenesia di diventare in fretta genitori, vediamo in lui accendersi dei lampi di memoria, da cui traspare una vena di tristezza che muta in scatti di aggressività o in un salvifico pianto. Una sensazione che ha trovato conferma l’altra sera quando per addormentarsi, s’è cantato da solo una struggente canzoncina, una ninna-nanna che forse accompagnava il suo sonno.

 

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Due mesi

Due mesi fa, l’incontro.

A saperlo che da quel momento la mia giornata sarebbe stata monopolizzata da questo piccolino. Io che fino ad allora irridevo quelli che girano con le foto dei figli sul cellulare, che parlano solo dei figli e la cui vita sembra girare solo intorno ad essi. Io che adesso dico “non perché è mio figlio ma….” vantandomi di ogni sua bravura, della sua bellezza, di ogni nuova parola che impara, di ogni smorfia, sorriso o espressione che ogni giorno scopriamo sul suo viso.

Tutto questo merita di essere registrato, non sulle fragili pagine di fb che durano lo spazio di un commento ma su quello che è stato per anni il contenitore di pensieri e storie e che è destinato a diventare per lui un album di memorie che possa colmare le lacune dei suoi primi anni senza di noi. E allora parto proprio da due mesi fa, dal giorno in cui ci siamo incontrati e la nostra famiglia s’è allargata per accoglierlo.

Ricordo la telefonata di Bobo, il nostro referente locale, la sera prima; tra le poche parole dette m’era subito saltata alle orecchie “tomorrow”. A noi era stato detto che avremmo aspettato due forse tre giorni e invece di lì a poco saremmo andati a prenderlo. Quella notte dormimmo poco, nulla. Alle quattro già in piedi, alle cinque sono uscito per una passeggiata lungo la spiaggia, a fare qualche foto all’alba, quando la bassa marea lascia barche arenate e una miriade di conchiglie e altri gioielli del mare. E poi l’attesa spasmodica per le 9, orario dell’appuntamento. I regali pronti, spiderman in testa,  i vestitini preparati, noi due euforici ma con una punta di inquietudine, di incertezza per qualcuno che fino ad allora era solo una fotografia.

Ricordo passo dopo passo il tragitto fino all’Istituto, la calorosa accoglienza della direttrice e della sua collaboratrice, i sorrisi, il sentirsi rincuorati dall’ambiente in cui era vissuto, un senso di allegria, di pulizia, di vivacità che sentivamo avere accompagnato la sua crescita.

Un breve giro e finalmente arriva lui, con due sue foto strette in una mano, un sorriso disarmante e due occhi splendidi, due amarene lucenti. E sono stati baci e abbracci, i saluti tristi delle donne che l’avevano accudito, lui che era così “lovely”.

Una corsa in auto per completare l’iter burocratico, in  una fredda sala di un ufficio per quella cerimonia che non c’è stata, con lui che forse per la prima volta scopriva il mondo. Tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino ed è lì che è cominciato il viaggio della meraviglia.

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